mercoledì 16 gennaio 2013

Aggiornamenti ILVA: conflitti costituzionali, scioperi, perdita delle commesse

"C'è da star svegli ..."


Diciamo no al feticismo giuridico...
La vicenda ILVA è ormai strangolata all'interno di una dinamica processuale estremamente complessa.

Seguirne ogni passo, da tempo giunti come siamo alle conclusioni che potete rintracciare negli infiniti post su Corporeus corpora, secondo noi afferisce più ad una forma di feticismo giuridico che al dovere/diritto di cronaca.

Basti sapere che anche il tribunale d'appello ha oggi ribadito la necessità di richiedere parere alla Corte Costituzionale. Che si vedrà pertanto investita del compito di vagliare le censure in termini di conflitto di attribuzione per eccesso di potere e di specifica incostituzionalità del testo normativo in questione. Dal Sole24ore:


Ai giudici dell'appello l'azienda si era rivolta l'8 gennaio chiedendo appunto il dissequestro di un milione e 700mila tonnellate di merci che valgono un miliardo proprio perchè c'è una legge che ne autorizza la commercializzazione. I pm, invece, si sono opposti al dissequestro chiedendo appunto al Tribunale dell'appello di sollevare l'eccezione di costituzionalità.
Quello dell'appello era un verdetto atteso nel senso che c'erano poche probabilità che i magistrati decidessero favorevolmente sul dissequestro visto che la Procura, a fine anno, ha già sollevato il conflitto di attribuzione sul decreto legge 207 e che altrettanto si accinge a fare anche per la legge di conversione.
Dopo i giudici dell'appello, ora sul dissequestro si pronuncerà anche il gip Patrizia Todisco, che presumibilmente confermerà la decisione di tenere bloccati coils e lamiere in attesa che si pronunci la Consulta sulla costituzionalità o meno della legge. Il blocco delle merci dell'Ilva rende a questo punto ancora più incerti i tempi di riavvio dell'area a freddo del siderurgico, i cui impianti sono quasi tutti fermi.

La prima delibazione costituzionale, relativa alla sola ammissibilità delle domanda, è fissata per il 13 Febbraio. Una bella accellerazione rispetto alle tempistiche medie dell'Alta Corte:

 “Non credo ci siano particolari dubbi sull’ammissibilità. In questo primo passaggio i giudici devono valutare se i soggetti in gioco sono poteri dello Stato titolari di attribuzioni costituzionali, ed è pacifico che procura e governo lo siano; e se il conflitto ha ‘tono’ costituzionale – spiega il presidente emerito della Corte Costituzionale Cesare Mirabelli -. Sull’ammissibilità, quindi, ho pochi dubbi, tanto più che, tecnicamente, anche in fase di merito la Corte potrebbe dichiarare il ricorso inammissibile, anche se avviene raramente."

La cosa più notevole è la permanenza del sequestro e della non disponibilità dei prodotti finiti. 
Le motivazioni, non ancora completamente esplicitate, secondo noi risiedono in quel che leggeste QUI (e link da esso promananti).

Le vediamo ampiamente confermate nel testo riportato dal Fatto quotidiano, come sempre amicissimo delle procure:

la vendita della cosa in sequestro, cui segua la consegna all’acquirente, integra un reato” dato che in caso di vendita “alcun diritto potrà essere esercitato dallo Stato sul bene sequestrato e commercializzato”. Nel caso in esame, i magistrati hanno motivato la decisione spiegando che l’articolo 3 della legge voluta dal ministro dell’ambiente Corrado Clini “presenta evidenti profili di contrasto innanzitutto con articolo 3 della Costituzione, ossia il principio di uguaglianza, dal momento che identici fatti-reato, se commessi alcune imprese, possono determinare il sequestro del prodotto del reato medesimo e la conseguente incommerciabilità di beni, se commessi, invece, da Ilva spa non comportano analogo effetto, determinandosi in questo modo, ad avviso dell’odierno collegio, una inammissibile disparità di trattamento. La legge si presenta pertanto come legge del caso singolo”.


Ma al di là di ogni feticismo della norma (in inglese "rule worshipping"), la questione si combatte nel campo giudiziario/giuridico, ma affligge immediatamente la realtà delle cose.
Concentriamoci su di essa, brevemente.

Una grande industria che produce acciaio riceve ordinazioni con preavviso annuale, inserite come sono le ordinazioni in complesse pianificazioni industriali degli acquirenti.

L'impossibilità per ILVA di far fronte alle richieste ed ai contratti, derivante dai sequestri che bloccano persino la logistica interna, ne sta certamente determinando una progressiva, inesorabile fuoriuscita dal mercato. 
Di cui già tante volte abbiamo sottolineato lo stato di grande crisi di lungo periodo, in specie europea. 
Lo stabilimento, ripetiamo, è obsoleto e va avanti sulle enormi quantità, sui risparmi determinati dall'assenza di controlli e di misure di contenimento dell'inquinamento, sul ruolo strategico in seno al continente che va ad esaurirsi. 
Quest'ultimo punto è molto importante, ma non è qui che lo affronteremo. Perchè ci conduce in direzioni assai rilevanti, ma opinabili e dirompenti.


navi in rada da settimane a Taranto
La sommatoria di queste forze genera una risultante assai negativa per le sorti dello stabilimento: il numero di vascelli che sostano nel porto interno di Taranto, in attesa di caricare o scaricare è davvero impressionante. Così come i costi delle controstallie, certamente ormai ammontanti a milioni e milioni di euro. Ecco che accade ad esempio a contratti con controparti americane (da "La gazzetta del mezzogiorno"):

E' stato annullato dal committente un ordine di 25.000 tonnellate di tubi prodotti dall’Ilva di Taranto – 9.500 tonnellate sono sotto sequestro sulla banchina dell’area portuale di Taranto – che dovevano servire per la realizzazione di un oleodotto in Oklahoma. Lo rende noto l'azienda.

L’ordine prevedeva la consegna delle 25.000 tonnellate di tubi grezzi – del valore complessivo di 25 milioni di dollari – in tre momenti differenti: la prima e la seconda tranche entro novembre 2012 e la terza tranche entro gennaio 2013. L’azienda che aveva fatto l’ordine ha fatto sapere all’Ilva che, non avendo ricevuto neanche la prima tranche del prodotto (costituita dalle 9500 tonnellate di tubi che sono sotto sequestro nell’area portuale di Taranto), l’ordine viene considerato annullato

Ricomincia lo stato di agitazione del personale interno e delle aziende dell'indotto, già a regime ridotto per carenza oggettiva e pregressa di domanda. Leggete sul Taranto(buona)sera già a settembre 2012 che
... un fenomeno già innescato nell’indotto dove si profila cassa integrazione o ferie forzate per 490 addetti di Semat e Edil Simer del gruppo Trombini da anni presenti nell’Ilva nel rifacimento degli impianti.
Per esperienza diretta so quanto i lavoratori ILVA, a differenza di quelli genovesi, evidentemente più avvertiti, abbiano sinora preso "sottogamba" la questione, fiduciosi nel gattopardesco stato di cose, tipico del Sud. 
Per esperienza diretta so che negli ultimi 2 giorni gli animi non sono più sereni. Per nulla.
Pertanto i sindacalisti tornano a far sentire la loro bolsa voce.
Eccoli qui, sempre da la Gazzetta del mezzogiorno:

«La situazione all’interno della fabbrica comincia a diventare davvero insostenibile, sotto tutti i punti di vista. Rispettiamo l’operato della magistratura ma la gente è fortemente preoccupata». Lo ha detto Vincenzo Castronuovo, della segreteria provinciale della Fim Cisl di Taranto, a conclusione di una assemblea che si è tenuta oggi nello stabilimento Ilva per iniziativa di Fim e Uilm. «Attendiamo con ansia - sottolinea Castronuovo – la decisione del gip Patrizia Todisco in merito all’eventuale sblocco dei prodotti finiti posti sotto sequestro e, subito dopo, decideremo il da farsi. Di certo stiamo vivendo un momento estremamente difficile, oggi una cinquantina di lavoratori volevano entrare in direzione: gli animi sono esasperati, i lavoratori sono preoccupati per il loro futuro».
E di nuovo, oggi, riecco i dipendenti SEMAT:

E’ in corso oggi all’Ilva di Taranto lo sciopero dei lavoratori della Semat, una delle imprese dell’indotto, i quali protestano per il ricorso alla cassa integrazione per un centinaio di unità.
I sindacati contestano all’azienda il contestuale ricorso alla cassa integrazione per il personale in forza da anni e il ricorso ad assunzioni di giovani da impiegare nelle stesse attività svolte sino a poco tempo fa dagli edili oggi collocati in cassa integrazione. “Badge smagnetizzati, uffici chiusi e 102 lavoratori, che nel giro di poche ore hanno visto arrivare via posta la lettera di ricorso alla cassa, abbandonati a loro stessi. La minaccia della Semat”, così in una nota stampa la Fillea, il sindacato edili della Cgil, descrive la situazione della Semat. “Da questa mattina – annuncia Luigi Lamusta, segretario della Fillea di Taranto – ai varchi Ilva destinati all’ingresso dei mezzi pesanti i lavoratori edili di una delle più grandi aziende dell’appalto appartenente al gruppo Trombini, manifestano in assenza di un vero confronto di merito con l’azienda che proprio qualche giorno fa aveva annunciato un ricorso massiccio alla cassa integrazione.

Ancora più importante, il presidente Ferrante parla di enorme sforzo finanziario per coprire gli stipendi di Gennaio, mentre dubbi fortissimi vi sono, in assenza di sblocco dei prodotti finiti, per quelli di Febbraio:

Il presidente dell'Ilva, Bruno Ferrante, l'8 gennaio aveva detto che ''l'azienda ha messo in atto un grandissimo sforzo finanziario per procedere regolarmente al pagamento degli
stipendi del mese di gennaio''. ''Mi auguro - aveva pero' aggiunto - che la situazione possa evolvere positivamente per fare altrettanto il prossimo mese''.
Dal suo punto di vista gli auspici non sono stati rispettati... è chiara la pressione e la difficoltà.

Di Fabio Riva, che avevamo lasciato nelle mani della polizia britannica dopo un probabile soggiorno statunitense, non si sa più nulla... altrettanto delle indagini ancora in corso presso la regione ed il ministero dell'ambiente, per presunte violazioni commesse durante la concessione della prima AIA. Leggete qui che scriveva libero (insieme a varie testate locali) alla fine di Novembre 2012:

La Procura della Repubblica di Taranto ha delegato la Guardia di finanza ad eseguire accertamenti a Bari e a Roma in relazione al via libera alla vecchia Autorizzazione integrata ambientale (Aia) rilasciata il 4 agosto 2011 all'Ilva di Taranto, poi riesaminata e approvata alcune settimane fa. Lo si e' appreso da fonti giudiziarie

Da segnalare c'è un improvviso silenzio del fronte ministeriale, ovviamente Corrado Clini in testa.

Se avete seguito con noi la questione, è probabile che la realtà, sinora piegata alle esigenze processuali, tipicamente di lunga durata, farà presto sentire la sua voce imperiosa. 
Non crediamo infatti che uno stato di cose simile possa procedere mese dopo mese, senza improvvise novità.

C'è da star svegli...

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