giovedì 16 agosto 2012

tenzone con gli amici industrialisti

Visioni sulfuree (per alcuni) su Ilva di taranto


In questo post sosterremo cosa che abbiano già sostenuto in post precedenti. Solo con un linguaggio diverso, forse un attimo più compatto.


La siderurgia mondiale è duramente colpita dalla crisi. La domanda di acciaio è in calo, nel mondo intero. Provate a leggere qui , qui e qui

Nello specifico c'è un pericoloso eccesso di capacità produttiva (qui )

A fine luglio si è tenuta a Bruxelles una tavola rotonda sul tema della crisi della siderurgia presieduta dall'italiano Antonio Tajani (qui , qui , e qui )

Poi c'è l'arrivo dei paesi cosiddetti in via di sviluppo, come si evince da questa tabella che avevamo già pubblicato in un predente post magistrale edito dal mio esimio e stimatissimo collega e coautore abate di Thélème.


Questa tabella mostra come nel 2006 le esportazioni cinesi di acciaio siano aumentate del 60% in un solo anno.




Dunque la siderurgia europea si confronta col calo della domanda e con l'arrivo sul mercato di operatori siderurgici dei paesi emergenti.

E' chiaro che si apre la prospettiva della ristrutturazione della capacità produttiva europea. Dove ristrutturazione significa dismissione di parte di quella capacità.

Penso di poter anche affermare con ragionevole tranquillità che sono destinate a sopravvivere realtà di eccellenza.

Chi pensa che Taranto sia fra queste ?

Sovente ci capita di confrontarci con chi pensa che nessuna riconversione sia possibile. Per dati contingenti, la crisi, il calo della produzione industriale, la recessione in cui ci troviamo (la peggiore dal dopoguerra). Secondo alcuni in questa fase lo stato non potrebbe permettersi di sostenere la riconversione.

Basti guardare, come esempio, un commento ad un nostro post precedente.

Naturalmente l'autore anonimo di quel commento non è l'unico che abbiamo incontrato sulla nostra via. Lo citiamo solo per esempio.

Secondo loro la continuazione delle attività è l'unica opzione disponibile.

Eppure i casi di riconversione di siti ex siderurgici non mancherebbero.

Ma i nostri amici industrialisti sembrano spesso refrattari ai nostri argomenti. Ma, a proposito di pragmatismo, ci piacerebbe che ci spiegassero se e come (spendendo quanto, a carico di chi ?) pensano che lo stabilimento di Taranto possa essere reso eccellente.

Perché pare probabile che il semplice rientro nella legalità all'italiana non sarà sufficiente.

Durante l'era Italsider l'impianto di Taranto era a proprietà statale, inefficiente, con perdite elevatissime con relativo codazzo di polemiche sui manager pubblici che lo gestivano.

Dopo la cessione alla famiglia Riva (che in un anno è rientrata dell'investimento per l'acquisto, a proposito di sostenibilità per lo collettività) la situazione è lievemente migliorata.

Ma di rientrare nella legalità ce lo siamo sognati, comunque.

Tanto per dirne una, nel 2011 per concedere l'aia il ministero dell'ambiente ha indicato a Ilva 462 prescrizioni propedeutiche alla continuazione delle attività.

Del destino di quelle prescrizioni nulla sappiamo (ricorsi al TAR, periodi di studio e altre italiotaggini).

Per non parlare della condanna per l'Italia per la distorta applicazione della direttiva IPCC sulla riduzione dell'inquinamento.

Condanna che pesa, anche questa, sulle spalle della collettività, non su quella di Ilva, della quale non sappiamo quanto abbia risparmiato a non mettersi in regola rispetto a quella direttiva.

A questo genere di inefficienze a carico dell'erario, i nostri amici industralisti (assistiti) sembrano essere meno sensibili.

Vedono il peso degli investimenti necessari alla riconversione, vedono meno i costi a carico dell'erario necessari a sostenere il lavoro improduttivo di valore ma produttivo di consensi nello stile consociativo statalista italiota. Dovrebbe dire qualcosa quanto espresso da organizzazioni notoriamente sensibili al consenso quali la chiesa (nelle persone di molti parroci fino al Santo Padre in persona), quasi tutti i sindacati e quasi tutti i partiti.

Per non parlare del fatto che in passato i dipendenti furono fino a 50.000 (cinquantamila) adesso sono undicimila.

I nostri amici industrialisti si stracciano le vesti per la perdita dei posti di lavoro che la chiusura dell'Ilva provocherebbe ma della perdita di posti di lavoro che c'è già stata non si accorgono. Che fine hanno fatto i 40.000 che non lavorano più all'Ilva ?

Dal canto nostro, dobbiamo dire che i nostri amici industrialisti manifestano una certa sovrabbondanza di eccentricità cognitive.

Insomma ci piacerebbe riconoscessero che, col loro pragmatismo della chiusura di due occhi rispetto alla sostenibilità finanziaria e ambiantale (il lavoòro, con l'allungamento della o stretta caratteristica della cadenza tarantina) hanno causato con le loro stesse mani la tragedia che oggi paventano.

Se invece di attendere 30 anni per sollevare problemi si fosse provveduto ad adeguare l'adeguabile oggi sarebbe forse discutibile il rilancio.

Invece si parte da sottozero e si deve fare quel che non si è fatto in 30 anni, sempre per "pragmatismo".

Noi ricordiamo in modo sbiadito, per il poco che serve, che negli anni 90 ci fu, inascoltato profeta come sovente, già amante di massacri sociali, chi sostenne l'opportunità di prevedere una riconversione in almeno 10 anni.

La riconversione l'avremmo potuta fare in tempi non recessivi. Ma all'epoca non era pragmatico perché andava tutto bene. Oggi non lo è perché va tutto male.

Oggi per mangiare polpi pescati di fresco dai gestori dei chioschi in spiaggia, andiamo in Grecia. Paese nel quale è stata scattata questa foto.



Fra diossina e amianto (Marina Militare) i due seni di Mar Piccolo sono compromessi almeno per il prossimo secolo, forse più.

Certo, una riconversione di una realtà così grossa richiederebbe anni, decenni, per miliardi di ore lavoro.

Non è una questione che si risolve negli 8 mesi necessari a fermare gli impianti.

Di una cosa ai nostri amici industrialisti dobbiamo dare atto: ci vorrebbe una legge speciale per Taranto. Come c'è stata per la Ruhr, tanto per fare un esempio.

Invece probabilmente ci sarà una legge speciale per l'Ilva.

Fino alla prossima tragedia.

Tutto mentre il museo archeologico nazionale locale non può esporre che metà dei suoi reperti perché non ha i fondi per completare l'esposizione.

Mentre gli ori della Taranto magnogreca girano il mondo facendo furore ovunque (qui, qui)

Ai tarantini che amino i musei suggerisco di accontentarsi dell'arte moderna in esposizione al Guggenheim di Bilbao, costruito in risposta alla crisi della siderurgia dalla quale pure Bilbao dipendeva.

Insomma la nostra sensazione è che la conservazione dell'impianto Ilva oggi è nell'interesse privato di alcuni, dipendenti, sindacalisti, politici, chierici, i quali paventano la fine del mondo.

Mentre la riconversione sarebbe nell'interessa di tutti gli altri, che non si capisce cosa ricevano in cambio dell'aumentato rischio di contrarre tumori.

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